E poi ci sono queste notti così.
Oltre il velo degli occhi, finalmente. Uno squarcio. E allora, davvero, capisci.
Capisci che il lungo percorso che ti ha condotto fino a qui non è stato una lunga discesa, tutt'altro. E tra mille incidenti, mille accidenti, capisci che... tutto sommato non hai ancora imparato abbastanza.
Ricordi che riaffiorano, come sempre. Il sole, quella mattina, sul golfo. L'aria fresca e frizzante di qell'inizio d'estate, quando i temporali finalmente avevano deciso di lasciare spazio ai battiti del cuore, a una nuova infinita inconsapevolezza. E vorresti sentirti così, come quando camminavi all'ombra di quei secolari cortili e credevi di avere il mondo in mano e un caldo e comodo rifugio, dove rintanarti dopo le lunghe ore della giornata.
Camminavo per le vie della città che mi ha visto ospite per tanti anni, quella che ancora mi ostino a chiamare la MIA città. Il ponte sul lungo fiume, le mura imponenti che profumano di storia, l'odore accogliente che ho sentito solo in quella cameretta. Accanto a me l'uomo di una vita, mio fratello, la mia luce, la mia razionalità. L'unico uomo che so che non mi tradirà mai. E allora ho capito. Quella è CASA, quello è il mio angolo di mondo. I visi amici che tanto mi sono mancati, quei discorsi finalmente familiari.
E poi di nuovo qui, sul vialetto della casa di montagna dove i miei genitori ancora vivono. Guardo la valle, attorno a me. Quel triangolo oltre il lago che, a perdita d'occhio, conduce verso la grande pianura.
Finalmente respiro e ascolto il silenzio. Qui ci sono le mie radici, i miei primi ricordi, i primi passi lungo il giardino. I primi amori, le prime speranze, le prime piccole e grandi delusioni. Ricordo quel mese di aprile, il cuore spaccato a metà e quel grido strozzato in gola: il silenzio di una perdita è più forte di qualsiasi rumore.
Ricordo quante volte ho percorso quelle scale, con lo zaino in spalla o con tacchi troppo alti, inadatti quando l'ebbrezza di troppa vita entra in circolo. E allora forse un pezzettino di me si sente a casa anche qui.
E allora mi chiedo dove sia il mio spazio nel mondo, dove possa ritornare ad amare, ad amarmi come un tempo.
Devo pensare a me, a me soltanto. Devo trovare un punto dove iniziare a mettere radici e per una nomade come me non è così facile. Ho un disperato bisogno di certezze, certezza che solo Lui potrebbe darmi. Lui. Lui così preso da sè, lui per cui la vita è altro. Lui che a volte è lontano anni luce da me. Lui che meriterebbe solo il mio distacco. Ma non posso, perchè quando è quel gomitolo-dentro a guidarmi, anche la razionalità svanisce. Ma è tempo di riflessione, è il momento della (auto)convinzione, l'istante in cui è necessario capire che IO sono il principale bene di me stessa. Che non ripeterò l'errore della scorsa estate, perchè prima di qualunque altra cosa ci sono IO. E se c'è una cosa di cui sono certa è che tutto torna nella vita e che prima o poi tutto è destinato a mutare.
E allora il telefono spento, distacco. Chiusura e gelo. Fuori tutto ciò che mi possa urtare, voglio chiudere il mondo oltre la finestra. Voglio chiudere fuori anche Lui questa notte. Perchè questa volta credo sia giusto così.
La solitudine è la mia salvezza e la mia malattia. Forse devo solo rassegnarmi ad accettare di essere un animo selvatico, inadatto all'umanità. Forse devo ancora trovare la mia meta. Forse.
"Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera. "
S. Quasimodo
1 commenti:
...fa strano come il sol dire "casa" trasporti già nel pensiero, nell'esatto posto dove sembra giusto stare...
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